L'organizzazione e la difesa del territorio

A cura dell'Arch. Costanza Pera

La prima domanda da analizzare è il perché non sia possibile scindere i due poli: "organizzazione e tutela del territorio"; questa separazione infatti ha un carattere speciale in Italia rispetto al resto d'Europa.

Per esempio nell'organizzazione del territorio in Inghilterra o in Francia c'è una osmosi tra le funzioni di tutela e le funzioni di sviluppo molto maggiore che non in Italia.

La ragione è da ricercare nelle peculiarità che il nostro Paese ha avuto: cercare di tradurre in inglese o francese il termine "abusivismo" sarebbe impossibile: in inglese si dovrebbe tradurre con la parola "illegal" cioè illegale, noi invece abbiamo utilizzato il termine "abuso" per descrivere qualcosa che non è lecito in termini di semantica.

L'albergo "Fuenti" a Vietri (demolito)
Impianto autostradale abbandonato a Ragusa

Il perché fenomeni simili siano avvenuti solo in Italia è derivato in parte cospicua dall'imperfetto funzionamento e dalla debolezza dell'apparato pubblico preposto alla disciplina del territorio che non è riuscito sin dal dopoguerra a dare una strumentazione al territorio adeguata alle esigenze del Paese.

Dal 1942 esiste una legge urbanistica che riletta oggi, dopo 60 anni, ha un grande spirito aperto rispetto all'epoca: basti pensare che prevede la relazione geologica per tutti i Piani Regolatori, come vorremmo che ancora oggi avvenisse.

Eppure questa legge ha avuto una scarsa attuazione: negli anni del dopoguerra il bisogno di ricostruire ha prevalso sul bisogno di disciplinare, la necessità di rispondere a una domanda sociale molto forte ha creato inevitabilmente una speculazione edilizia collegata anche al forte fenomeno di inurbamento.

Negli anni immediatamente successivi al dopoguerra questo fenomeno di trasmigrazione imponente ha riguardato un' enorme quantità di persone che hanno spostato il loro luogo di lavoro dalle campagne alle città, dando luogo alla necessità di realizzare delle abitazioni; in questo vortice di trasformazione del territorio si sono innescati i primi germi della non disciplina territoriale, di quello che è poi dilagato nel fenomeno dell'abusivismo edilizio.

Quando ero al Ministero dell'Ambiente ebbi modo di curare la relazione sullo stato dell'ambiente che presentò forse i primi dati organizzati dall'ISTAT sul numero di stanze abusive costruite tra i vari censimenti negli anni '50, '60' e '70. Questi dati sono disponibili e il Ministero dei Lavori Pubblici ha di recente pubblicato il primo rapporto sullo stato del territorio, con una rassegna di dati molto interessanti che possono essere utilizzati anche a fini didattici.

Credo che le scuole debbano avere più familiarità con l'Amministrazione Pubblica, con i Ministeri, per costringere i nostri funzionari a confrontarsi con un linguaggio diverso, con un approccio più fresco e allo stesso tempo per far capire ai ragazzi quali possono essere le loro prospettive di collocazione in futuro.

Esiste a questo scopo un vastissimo strumentario per la disciplina del territorio, nel quale è possibile trovare le prime leggi del 1939 poi ampliate con la "Galasso", il sistema della tutela paesistica, archeologica, architettonica, fino al testo unico dell'anno scorso che comprende l'insieme della disciplina in materia di beni culturali e ambientali, le norme sugli standard urbanistici, la legge sostitutiva del Ministero dell'Ambiente che ha introdotto le prime norme sulla valutazione dell'impatto ambientale, la legge sulla difesa del suolo che ha introdotto gli strumenti della pianificazione del bacino, la legge sulla istituzione del Ministero dell' Ambiente, la legge sulla difesa del suolo e la legge quadro sui parchi naturali.

A fianco di queste leggi nazionali, andrebbe vista tutta la disciplina regionale che nel frattempo si è sviluppata moltissimo perché la materia urbanistica è riservata dall'art. 117 della Costituzione alla competenza regionale; le Regioni fin dal 1972, attraverso l'attuazione del decentramento regionale, hanno prodotto legislazioni efficaci sul proprio territorio anch'esse non prive di innovazioni importanti.

Oggi il tema che sembra essere più caldo è quello della difesa del suolo, dell'assetto idrogeologico, un aspetto molto discusso ma forse il meno operato in concreto.
Alla luce di sempre più frequenti alluvioni e conseguenti danni di miliardi è evidente che con gli stessi finanziamenti era possibile cercare di effettuare dei piani di sicurezza. Perché questi interventi, questa logica diversa di proteggere il territorio non è stata realizzata? Dopo la grande alluvione del 1966 di Firenze, nel 1970 fu istituita dal Parlamento la famosa Commissione De Marchi per realizzare una rassegna di tutti i problemi idrogeologici nazionali, a cui sarebbero dovuti seguire i dovuti interventi. Solo per approvare la legge sulla difesa del suolo del 1989 ci sono voluti 20 anni, e dopo ancora dieci anni, nell'1998/99, la legge era rimasta sostanzialmente inapplicata.

Puglia (1966)

E' necessario capire perché: a mio avviso questa legge era stata caricata di troppi compiti senza porre in essere gli strumenti adatti per poter attuare concretamente i lavori previsti; basta dire che la legge stanziava 3.000 mld e istituiva le autorità di bacino come organo di coordinamento sul territorio per la pianificazione, la programmazione e la verifica degli interventi senza però esplicare come devono essere organizzate le autorità di bacino, di quale personale sono composte, quanti soldi ci sono a disposizione per farle funzionare.

Non si è valutato che nella creazione di un nuovo organismo preposto a un compito così importante e così trasversale rispetto alle competenze di tanti settori, le resistenze a non far funzionare il sistema sarebbero state molto maggiori delle spinte a farlo funzionare anche a causa di un' infinita quantità di settori coinvolti (dall'urbanistica, all'agricoltura, dalla difesa idrogeologica ai beni culturali, alle attività produttive per le cave e le localizzazioni lungo le aree fluviali) che avrebbero creato un universo di interessi burocratici che hanno spinto inevitabilmente a lasciare tutto come era.

Dopo 10 anni infatti non é cambiato sostanzialmente nulla: sono stati fatti degli importanti studi, sono state fatte delle prime ricerche, è ormai delineata chiaramente l'idea di quali sono le priorità, soprattutto nei bacini del Po e dell'Arno, ma l'Amministrazione non é riuscita a penetrare la cultura dell'intervento a scala di bacino nel fare quotidiano.

E' invece importante ottenere dei risultati nell'organizzazione e nella tutela del territorio attraverso la collaborazione tra più soggetti.
Questo è il punto cruciale, sottolineato anche dall'Unione Europea nell'agenda 2000 alla luce del fatto che il fenomeno idrogeologico sta preoccupando diversi Paesi perché si sono modificati i regimi delle precipitazioni.

Negli ultimi anni si sono verificate delle precipitazioni più dense e più rapide rispetto al passato e gli scienziati non sanno ancora se questo è un cambiamento climatico o se siamo all'interno di una fase che ha un periodo breve di manifestazione. In ogni caso la difesa idrogeologica si basa sulla previsione di quanta acqua arriva in un bacino idrografico e oggi non siamo più in grado di prevederlo.

Resta allora la possibilità di applicare il principio cautelativo e quindi di intervenire in modo da non creare dei disturbi all'assetto idrogeologico.

Ma comunque non è possibile ottenere un risultato su materie che coinvolgono così tante responsabilità, senza una collaborazione reciproca.

Acque inquinate lungo il Po
Fabbrica di Careggine, in Garfagnana, villaggio sacrificato all'industria idroelettrica

Oggi non possiamo nemmeno immaginare di vivere in una società dove tutto è assolutamente vincolato, quindi la soluzione resta quella di fare in modo che questa adesione sia quanto più possibile volontaria e spontanea affinché sia efficace nel ridurre i vincoli.

Questo principio sta passando lentamente nel nostro ordinamento; ad esempio un settore che sembrava lontanissimo da questo ordine di problemi, ma non lo è affatto, è quello dei lavori pubblici: la legge Merloni, prescrive che per ciascun progetto di opera pubblica siano verificati gli aspetti ambientali del progetto, inoltre in una serie di specifici punti sia nella fase di programmazione, sia nella fase di progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva dell'opera pubblica è previsto che il progettista incorpori la preoccupazione ambientale, idrogeologica e territoriale.

Insomma il progetto non deve essere più qualcosa di avulso dal contesto in cui si inserisce, ma deve relazionarsi in profondità non solo con gli aspetti tipicamente funzionali del territorio, ma anche con gli aspetti naturali e strutturali intesi in termini geologici del territorio.

Noi amiamo dire al Ministero dei Lavori Pubblici che la difesa idrogeologica è la prima infrastruttura che va realizzata.
La Legge Quadro sulle opere pubbliche, che sembrava essere materia antagonista di questi aspetti, è diventata cooperativa e collabora alla realizzazione di queste finalità.

Ora l'obiettivo delle Amministrazioni Pubbliche deve essere quello di attrezzarsi a raggiungere gli scopi preposti con una velocità che vada di pari passo con le necessità.

Fondamenti culturali

L'autore

Arch. Costanza Pera

Ministero dei Lavori Pubblici. L'arch. Costanza Pera si è laureata con Ludovico Quaroni in progettazione architettonica; da subito attenta alle problematiche del territorio ha man mano sviluppato una grande passione per la tutela ambientale sino a diventare Direttore Generale al Ministero dell Ambiente.

In seguito è passata a lavorare per il Ministero dei Lavori Pubblici con l'incarico di Direttore Generale della difesa del suolo e successivamente di Direttore Generale degli affari del personale. Al momento dell'intervento ricopriva la carica di Capo di Gabinetto.

Le fonti

  • Le immagini sono tratte da:
    • Il paesaggio Italiano - Idee contributi immagini, Milano, Touring Club Italiano Editore, 2000, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali