La tenera crescita

A cura del Prof. Arch. Paolo Portoghesi

Il secolo ventesimo si è concluso assegnando alla architettura il ruolo di amplificatore di uno scricchiolio prolungato e inquietante che preannunciava terremoti, slittamenti e clamorose deflagrazioni.

Abbiamo avuto così i monumenti dell'obliquità, accattivanti e ambigui, che celebrano la rinuncia degli architetti ad altre responsabilità, che non siano quelle verso se stessi e la propria opera, e l'abbandono di ogni ambizione corale, monumenti pubblicitari di un potere che non ha più bisogno di rappresentazioni simboliche, ma solo di esaltazioni della sua illimitata libertà di azione.

Tappeto

Ai cantori dell'obliquità, all'ultimo Gehry come a Libeskind e Eisenman, si addice la descrizione che Riilke dava, nel 1919, dell'espressionista:
"L 'espressionista", scriveva, "questo uomo interiore diventato esplosivo, che rovescia su tutte le cose la lava del suo animo ribollente, per insistere sul fatto che la forma casuale in cui le croste si rapprendono è il profilo nuovo, futuro, definitivo dell'esistenza è un disperato.
Gli espressionisti sinceri bisogna lasciarli imperversare; forse questi fenomeni appariscenti e chiassosi (che diventano ripugnanti solo nelle loro applicazioni commerciali) attireranno gli sguardi distogliendoli dalla tenera crescita di ciò che veramente, a poco a poco, risulterà essere il futuro. È così comprensibile che gli uomini siano diventati impazienti; eppure, cosa occorre adesso più della pazienza; le ferite richiedono tempo e non guariscono piantandogli dentro delle bandiere. Il mondo deve trovare, in qualche altra maniera, una coscienza stabile, e forse la prima cosa in cui si ritroverà sarà una cosa inappariscente, una cosa comunque indicibile." (La lettera, indirizzata ad Anni Mewes, è citata nel commento alle Elegie Dninesi a pag. 581 del II volume delle Poesie, Torino Einaudi-Gallimard 1995)

Mentre il tessuto della città soffre non solo per l'inquinamento e la disgregazione, ma anche per il disimpegno degli architetti, profezie di inevitabili sciagure cosmiche si alternano a profezie ottimistiche sulla nascita di nuovi valori, generati palingeneticamente dal caos urbano, inteso come fermento creativo.

Napoli, 1998

Il nuovo secolo è nato all'insegna della continuità e fino ad ora non ha dato chiari sintomi di volersi dare una propria identità; ma è facile prevedere che non tarderà a manifestarla, a dispetto di chi vorrebbe farne il clone del precedente. E' necessario allora distinguere, nell'eredità del Novecento, ciò che ancora può servire e liberarlo dai legami che lo imprigionano.

Come ci ha insegnato Calvino, occorre prendere atto che "l'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.

Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."

Dalla eredità del Novecento traiamo, come incipit di questa rivista e come spiegazione del suo titolo, le riflessioni di Heidegger sull'abitare, che gli architetti hanno spesso commentato senza cogliere tuttavia il drammatico ammonimento che contengono.

Forme di vita al microscopio

Esaminando il volto nascosto della parola tedesca bauen Heidegger risale all'originario buan, che vuol dire "abitare":
"Che significa allora: ich bin, io sono? L 'antica parola "bauen", a cui si ricollega il "bin", risponde: "ich bin, du bist"; vuol dire: io abito, tu abiti. Il modo in cui tu sei e io sono, il modo in cui noi siamo sulla terra, è il buan, l'abitare. Essere uomo significa: essere sulla terra come mortale; e cioè abitare." (Cft. M. Heidegger, Saggi e discorsi, a cura di Gianni Vattimo, Milano Mursia 1976, pag. 96)

Tornando a scavare dentro l'impasto etimologico della parola bauen, Heidegger vi rintraccia, insieme al significato di erigere e produrre, quello di coltivare, e afferma che "il costruire come abitare si dispiega nel costruire che coltiva, e coltiva ciò che cresce; e nel costruire che edifica costruzioni." Un ulteriore scavo lo conduce poi a specificare il senso profondo del coltivare, come aver riguardo, proteggere, aver cura.

Tra il costruire che coltiva e il costruire che edifica c'è quindi una stretta parentela perché, in entrambi i casi, la terra viene trasformata.
Agricoltura e architettura sono due momenti dell'abitare che trovano nel paesaggio la loro connessione, momenti corali di un processo di umanizzazione in cui si esplica "l'aver cura"; e se l'agricoltura ha la conferma del suo ben operare dai frutti che la terra produce, al ben operare dell'architetto la conferma non può venire che da una armonia che si attua tra il sorgere e l'aver cura, tra il sorgere e il crescere, dove il sorgere è anche, come Heidegger spiega in Origine dell'opera d'arte, un rivelare, un "rendere visibile l'invisibile".

Edifici

L'analogia tra agricoltura e architettura è indicativa, tra l'altro, di un modo nuovo di guardare ad entrambe come chiavi di lettura del rapporto uomo- terra e apre la strada a una ipotetica storiografia antropologica ben più attuale della sommatoria di storie disciplinari che vedono città, tessuto edilizio, paesaggio e opera d'arte architettonica come frammenti irriconducibili ad unità.

"L'abitare ci appare in tutta la sua ampiezza quando pensiamo che nell'abitare risiede l'essere dell'uomo, inteso come il soggiornare dei mortali sulla terra. Ma "sulla terra" significa già "sotto il cielo".

Entrambi significano insieme "rimanere davanti ai divini" e implicano una "appartenenza alla comunità degli uomini".

C'è una unità originaria entro la quale i Quattro: terra e cielo, i divini e i mortali, sono una cosa sola.

La terra è quella che servendo sorregge, che fiorendo dà frutti, che si distende inerte nelle rocce e nelle acque e vive nelle piante e negli animali.

Quando diciamo "terra", pensiamo già insieme anche gli altri Tre, ma non riflettiamo ancora sulla semplicità dei Quattro.

Frammentazione

Il cielo è il cammino arcuato del sole, il vario apparire della luna nelle sue diverse fasi, il luminoso corso delle stelle, le stagioni dell'anno e il loro volgere, la luce e il declino del giorno, il buio e il chiarore della notte, la clemenza e l'inclemenza del tempo, l'addensarsi delle nuvole e l'azzurra profondità dell'etere.

Quando diciamo cielo, pensiamo già insieme anche gli altri Tre, ma non riflettiamo ancora sulla semplicità dei Quattro.

Siccità
Capanna

I divini sono i messaggeri che ci indicano la divinità. Nel sacro dispiegarsi della loro potenza, il dio appare nella sua presenza o si ritira nel suo nascondimento. Quando nominiamo i divini, pensiamo già anche insieme gli altri Tre, ma non riflettiamo ancora sulla semplicità dei Quattro.

I mortali sono gli uomini. Si chiamano mortali perché possono morire.

Morire significa essere capace della morte in quanto morte. Solo l'uomo muore, e muore continuamente, fino a che rimane sulla terra, sotto il cielo, di fronte ai divini.

Quando nominiamo i mortali, pensiamo già anche insieme gli altri Tre, ma non riflettiamo ancora sulla semplicità dei Quattro.

Questa loro semplicità noi la chiamiamo il Geviert, la Quadratura." (Cft. M. Heidegger, Saggi e discorsi, a cura di Gianni Vattimo, Milano Mursia 1976, pag.99)

Scendendo direttamente sul terreno del costruire il filosofo ne esemplifica il significato.

"L'essenza del costruire è il "far abitare". Il tratto essenziale del costruire è l'edificare luoghi mediante il disporre i loro spazi. Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire.

Pensiamo per un momento a una casa contadina della Foresta Nera, che due secoli fa un abitare rustico ancora costruiva. Qui, ciò che ha edificato la casa è stata la persistente capacità di far entrare nelle cose terra e cielo, i divini e i mortali nella loro semplicità.
Essa ha posto la casa sul versante riparato dal vento, volto a mezzogiorno, tra i prati e nella vicinanza della sorgente. Essa gli ha dato il suo tetto di legno che sporge a grondaia per un largo tratto, inclinato in modo conveniente per reggere il peso della neve, e che scendendo molto in basso protegge le stanze contro le tempeste delle lunghe notti invernali. Essa non ha dimenticato l'angolo del Signore dietro la tavola comune, ha fatto posto nelle stanze ai luoghi sacri del letto del parto e dell'"albero dei morti", come si chiama là la bara, prefigurando così alle varie età della vita sotto un unico tetto l'impronta del loro cammino attraverso il tempo.

Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire. Il richiamo alla casa contadina della Foresta Nera non vuol dire affatto che noi dovremmo e potremmo tornare a costruire case come quella, ma intende illustrare, con l'esempio di un abitare del passato, in che senso esso fosse capace di costruire." (Cft. M. Heidegger, Saggi e discorsi, a cura di Gianni Vattimo, Milano Mursia 1976, pag.107)

Riparo

Se si vuol trarre da queste parole un insegnamento e uno stimolo bisogna prendere atto che, caduta l'illusione di ogni revival, rimane il compito di sentire l'abitare la terra, oggi, come un problema come qualcosa degno di essere pensato (denkwardig) e, a questo punto, si impone per accedere alla semplicità della Quadratura ciò che Ilya Prigogine ha definito una Nuova Alleanza tra l'uomo e la natura (Cft. E. Prigogine e I. Stenghers, La Nuova Alleanza, Torino, Einaudi 1981 pagg. 16,23,268): la rinuncia quindi all'atteggiamento che Francesco Bacone aveva teorizzato parlando di una natura "braccata", costretta a "servire" e "messa in catene", affinché lo scienziato potesse "estorcerle con la natura i suoi segreti". (Citato in F. Capra, Verso una nuova saggezza, Milano Feltrinelli, 1977 pag. 206)

Occorre anche riflettere, per gli architetti, sul ruolo che hanno esercitato di braccio secolare nell'esercizio del dominio sulla natura e il peso di quella immensa quantità di edifici che nell'ultimo secolo è stata appoggiata sulla terra, come una coltre soffocante, quantitativamente maggiore di tutto ciò che l'uomo aveva appoggiato su di essa dall'inizio della storia.

Rosone

Insieme alla nuova alleanza si impone anche un nuovo accesso alla dimensione del sacro, senza il quale la semplicità, che è nello stesso tempo unità all'interno della Quadratura, sarebbe comunque inattingibile. E qui ci viene in aiuto Bateson, con il concetto della "struttura che connette" (Cft. G. Bateson, Una sacra unità, Milano, Adelphi 1997) e della sacralità come connessione totale, che contraddice ogni "spaccatura", ogni enfasi analitica. La riconquista della nozione di sacro in termini antropologici si giunge, attraverso la riflessione di Bateson, alla rivendicazione della parentela tra la mente umana e la mente che presiede all'autorganizzazione della materia e quindi della pervasività nel mondo naturale come in quello artificiale della "struttura che connette".Si delinea quindi come frutto di una coscienza epocale allo stato nascente un modo di "imparare dalla natura" che rinunci al totalitarismo riduzionista della scienza classica e rivolga alla natura domande circostanziate in una sorta di dialogo sperimentale: una prospettiva particolarmente fruttuosa per l'architettura e l'urbanistica.

Ma qualunque strategia di cambiamento deve fare i conti con il presente e qui ancora ci viene in aiuto Heidegger, escludendo ogni evasione e ogni rifugio nel passato che pretenda di riprodurlo.

Molecola

"Posto che, in genere, a questa epoca sia ancora riservata una svolta", si legge nei Sentieri Interrotti, "questa potrà aver luogo solo se il mondo si capovolge da capo a fondo, cioè se si capovolge a partire dall'abisso. Nell'epoca della notte del mondo, l'abisso deve essere riconosciuto e subìto fino in fondo." (Cft. M. Heidegger, Sentieri interrotti, Scandicci, La Nuova Italia 1977 pagg 247 e segg. La tenera crescita pag.7 di 8)

La considerazione di Heidegger muove dai versi di Holderlin in Mnemosine:

"...non tutto
è ai Celesti possibile. Più presto giungono infatti
i mortali in fondo all'abisso.
Ma così avviene per essi la svolta.
Lungo è il tempo ma si attua
il vero."

Fondamenti culturali

L'autore

Prof. Arch. Paolo Portoghesi

Professore ordinario di Progettazione Urbana all'Università La Sapienza.

Le fonti

  • Piccola bibliografia di riferimento:
    • Elegie Dninesi, II volume delle Poesie, Torino Einaudi-Gallimard, 1995
    • M. Heidegger, Saggi e discorsi, a cura di Gianni Vattimo, Milano Mursia, 1976
    • Prigogine e I. Stenghers, La Nuova Alleanza, Torino, Einaudi, 1981
    • F. Capra, Verso una nuova saggezza, Milano Feltrinelli, 1977
    • G. Bateson, Una sacra unità, Milano, Adelphi, 1997.
    • M. Heidegger, Sentieri interrotti, Scandicci, La Nuova Italia, 1977
  • Le immagini sono tratte da:
    • Gentile concessione dell'autore