L'Arcus Coelemontani

Note di approfondimento

Il più celebre acquedotto romano iniziato da Caligola e terminato da Claudio.

Il condotto partendo da Subiaco, giungeva a Roma dopo aver percorso oltre 68 km.; per un tratto di circa 16 km. correva sulle grandiose arcate in tufo ancora visibili nella campagna alle porte della città. Una diramazione verso il Celio fu posta in opera da Nerone, mentre Domiziano lo portò fino al Palatino.

Nerone costruì una diramazione dell’acquedotto dall’Aqua Claudia alla Spes Vetus fino al Tempio di Claudio, che egli distrusse quasi interamente per poter sistemare lì il castello di erogazione.

La diramazione iniziava dove l’acquedotto girava ad angolo retto da Nord ad Est, immediatamente prima di raggiungere Porta Maggiore. Della costruzione originale, in cementizio rivestito di mattoni è conservato poco. Il Fabretti riscontrò che lo specus era largo 2 piedi e ¾, alto 5 piedi e ½ fino all’imposta, mentre la volta era alta 1 piede e ½ e le parti laterali spesse 1 piede e 7/8. Gli archi rastremati di tegole variano, quelli interni sono bipedales, quelli esterni sono larghi 1 piede e 1/3. La luce degli archi varia da 18 piedi e ½ ai 27 piedi e ½ a seconda della loro altezza.

Il Lanciani dà le misure dei pilastri originali : 2,10 m. di spessore e 2,30 m. di larghezza, con archi di 7,75 m. di luce e qualche volta fino a 17 m.

L'Arcus Coelemontani
L'Arcus Coelemontani

Questa leggerezza di costruzione era dovuta, spiegava il Fabretti, al fatto che si voleva interferire il meno possibile con gli edifici esistenti e con le strade.
Lo Specus è largo 0,716 m. con pareti spesse 0,575 m. ed era alto 1,633 m. all’ imposta, la volta semicircolare aveva un raggio di 0,45 m. (queste dimensioni concordano con il Fabretti).

Nel 201 d.C. Settimio Severo e Caracalla restaurarono gli Arcus Caelemontani, dal livello del terreno fino alla sommità perché, a causa della loro età, erano rotti e crollati in diversi punti. A seguito di questo restauro: la larghezza dei pilastri era aumentata da 2,30 m. a 4,60 m., la luce degli archi era diminuita in corrispondenza da 7,75 m. a 5,45 m. I nuovi pilastri di rinforzo sostenevano archi interni con due o tre ghiere di tegole rastremate.

Quattro archi attraversano la via Eleniana, la strada per S. Croce in Gerusalemme (questi sono interamente severiani). Diciannove pilastri esistono dove si trovava una volta la Vigna Conti, lungo l’attuale via Statilia; in alcuni si può vedere la costruzione originale, ma la maggior parte della struttura è d’epoca molto tarda. Trentatre pilastri appaiono nella Villa Wolkonsky, nei quali è visibile una vasta porzione della struttura Neroniana. Poi vengono nove pilastri nel giardino dei Padri della Passione alla Scala Santa; alcuni archi furono distrutti nel 1680, ma quelli ancora esistenti sono i migliori della costruzione originale, con le modanature d’imposta di mattoni ben conservati.

L’acquedotto poi attraversa la piazza dove una notevole parte venne distrutta nel 1589 da Domenico Fontana. Nel diciottesimo secolo c’erano tre pilastri e ce ne sono ancora due presso l’Ostaria del Cocchio sul lato nord della piazza. Seguono quindi 30 pilastri, prima sulla destra e poi sulla sinistra della via S. Stefano Rotondo (la maggior parte d’ epoca tarda). Nella piazza della Navicella l’acquedotto, doveva dividersi, una diramazione andava in direzione del Tempio di Claudio e l’altra all’Aventino. Non si ha nessuna prova della diramazione verso l’Aventino, ne sul Celio e neppure nella Valle fra questo e l’Aventino nelle vicinanze della Porta Capena.
L’altra diramazione portava originariamente al Tempio di Claudio, che fu poi trasformato da Nerone in un bacino di raccolta.

Il Cassio aveva notato, accanto al giardino vicino al nuovo refettorio dei SS. Giovanni e Paolo, un pozzo discendente che riceveva la sua acqua dalla Claudia e menziona numerosi altri pozzi adiacenti.

Il Lanciani osserva che quando nel 1874 si pose mano a sconvolgere l’ arena del Colosseo ed a distruggere le sostruzioni, si trovò all’estremità meridionale dell’ asse maggiore l’imbocco di un cunicolo che scende dal Celio (il ramo principale si addentra nelle vicinanze del Celio appunto alla Navicella); si pensa, pertanto, essere questo cunicolo anteriore all’anfiteatro, ed aver servito per uso dello stagno neroniano.

Arcus Coelemontani: la diramazione per il Palatino

La diramazione che porta al tempio di Claudio era stata successivamente prolungata fino al Palatino. Gli archi ancora visibili nella valle fra questo ed il Celio mostrano chiaramente una costruzione di due periodi.

La più antica è opera di Domiziano, dato che è storicamente ragionevole e nello stile è simile alle sue costruzioni sul Palatino.

La struttura più tarda consiste nel rivestimento degli archi superiori ed inferiori e può essere attribuita a Settimio Severo.

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Proposte didattiche

Approfondimenti

L'autore

Prof. Arch. Renata Bizzotto

Docente di “Rilievo dell’Architettura” presso la facoltà di Ingegneria, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Consigliere Nazionale del CNAPPC dal 1997 e presidente del Dipartimento ”Formazione e Ricerca scientifica”. Presidente dell’Ordine degli Architetti di Roma dal 1994 al 1997. Presidente del Consiglio d’Amministrazione dell’Acquario Romano s.r.l.

Saggi:

Disegno e Progettazione - in collaborazione - Dedalo libri ed. Bari 1967

Lo studio professionale di progettazione - in collaborazione - NIS ed. Roma 1984

Vani e infissi - Edizioni Kappa. Roma 2000

Le Porte di Roma: San Sebastiano, San Paolo, Tiburtina - Edizioni Kappa. Roma 2001

L’Ospedale di S.Spirito - Edizioni Kappa. Roma 2001
Hanno collaborato:

Filippo Lauri, Filippo Giordano, Elisa Manconi, Francesco Moles, Giovanni Nusca, Marco D'Onofrio, Luca Piccioni, Alessandro Anzini.